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mercoledì 4 luglio 2018

La Xylella, il 4 marzo e... la democrazia

Se vi abbeveraste non soltanto sulla Pravda piddina sapreste che la malattia degli ulivi ha poco a che fare con la xylella un po' come il 3% del rapporto debito/pil è un numero totalmente arbitrario e avulso da qualunque considerazione scientifica. Ci sono zone del territorio pugliese dove è presente il batterio ma sono in perfetto stato di salute e zone dove il batterio non è stato trovato ma dove la moria degli ulivi è massiccia. Correlare la malattia degli ulivi con il batterio è proprio sul piano scientifico un errore: a maggior ragione se l'unica soluzione prospettata è l'eradicazione di alberi plurisecolari che, peraltro, non impedisce comunque la diffusione (non del batterio) ma della malattia.
Se poi bevete a ciò che dicono i piddini, note autorità scientifiche, c'è qualcosa che non va.
Lo spazio che Beppe Grillo sul suo blog ha dedicato ad un intervento della giornalista tedesca Petra Reski, che denuncia l'inconsistenza della correlazione tra batterio della xylella e CodiRo (sindrome del disseccamento rapido dell'olivo), ovvero della malattia che ha colpito i secolari, meravigliosi, ulivi pugliesi, ha fatto sì che il livore che alberga da anni negli animi dei piddini e che trova in Repubblica l'habitat ideale quale principale collettore di fango che viene schizzato sul M5S a quantità industriali ogni santo giorno, abbia trovato un'altra, l'ennesima, occasione di vituperio.
Impossibile replicare al pensiero unico di chi ritiene che, eradicando il batterio (attualmente cosa impossibile, come insegna la lunga esperienza americana), si possa sconfiggere la malattia. Tanto più che ciò passerebbe per l'uso massiccio dei neonicotinoidi (responsabili della moria di api e dunque recentemente messi al bando dall'UE) e per l'eradicazione delle piante malate ma anche di quelle sane ubicate in una vasta fascia territoriale ai margini di quella colpita.
E' questo l'obiettivo del decreto del piddino ex-ministro dell'Agricoltura Martina, varato in febbraio, che per combattere la xylella ha imposto l’uso dell’insetticida Imidacloprid della classe dei neonicotinoidi persino per le coltivazioni biologiche.
I neonicotinoidi sono stati di recente vietati in Europa perché mortali per le api (e secondo l’EFSA, neurotossici per gli esseri umani).  Non a caso un mese più tardi, a Bruxelles, l’Italia ha bocciato l’insetticida tossico assieme ad altri 15 Paesi: oggi è vietato l’uso dei neonicotinoidi nei campi.
Questo è l'antefatto.
Sul forum collegato all'articolo di Repubblica secondo cui la pubblicazione di tale presa di posizione della Reski sul blog avrebbe fatto infuriare tutti (si cita il commissario UE che bolla l'intervento come "fake news") si è scatenato un vero e proprio linciaggio nei confronti di chi, come il sottoscritto, ha cercato in qualche modo di riportare la questione alla pacatezza del dibattito scientifico sottraendola alla polemica politica, benché ancora una volta il PD, quasi per una sorta di richiamo della foresta, si trovi sistematicamente a schierarsi sempre dalla parte di big pharma, ovvero di chi propone la soluzione più antieconomica, socialmente insostenibile e devastante sul piano ambientale.
Ecco il primo commento riportato dal sottoscritto:

"Se vi abbeveraste non soltanto alla Pravda piddina, sapreste che la malattia degli ulivi ha poco a che fare con la xylella un po' come il 3% del rapporto debito/pil è un numero totalmente arbitrario e avulso da qualunque considerazione scientifica. 
Ci sono zone del territorio pugliese dove è presente il batterio ma sono in perfetto stato di salute e zone dove il batterio non è stato trovato ma dove la moria degli ulivi è massiccia. 
Correlare la malattia degli ulivi con il batterio è proprio sul piano scientifico un errore: a maggior ragione se l'unica soluzione prospettata è l'eradicazione di alberi plurisecolari che, peraltro, non ne impedisce comunque la diffusione (della malattia, non del batterio!).
Se poi bevete ciò che dicono i piddini, note autorità scientifiche, c'è qualcosa che non va.
Contro le ciance insulse della Aspesi, il parere dell'ex direttore del CNR vale di più. O no?"

Se vi abbeveraste non soltanto sulla Pravda piddina sapreste che la malattia degli ulivi ha poco a che fare con la xylella un po' come il 3% del rapporto debito/pil è un numero totalmente arbitrario e avulso da qualunque considerazione scientifica. Ci sono zone del territorio pugliese dove è presente il batterio ma sono in perfetto stato di salute e zone dove il batterio non è stato trovato ma dove la moria degli ulivi è massiccia. Correlare la malattia degli ulivi con il batterio è proprio sul piano scientifico un errore: a maggior ragione se l'unica soluzione prospettata è l'eradicazione di alberi plurisecolari che, peraltro, non impedisce comunque la diffusione (non del batterio) ma della malattia.
Se poi bevete a ciò che dicono i piddini, note autorità scientifiche, c'è qualcosa che non va.
Di fronte alla sequela di insulti e alla gogna dei repubblichini ho invano tentato di replicare riportando le osservazioni di Pietro Perrino, ma il moderatore ha messo la censura a questo secondo post:

"Riporto le osservazioni fatte dal genetista Pietro Perrino,  già direttore dell'Istituto di genetica vegetale del CNR di Bari, al Fatto:
"1. non è stato ancora dimostrato, in modo inequivocabile, che la Xylella sia causa della malattia;
2. ci sono piante d'ulivo positive con il batterio (da anni) che non manifestano la malattia;
3. ci sono piante negative, senza batterio, che manifestano la malattia e sono la stragrande maggioranza.
I patogeni sono opportunisti che diventano virulenti quando la pianta, per le criticità (uso di pesticidi, erbicidi, inquinamento, desertificazione del terreno), s'indebolisce in quanto non riesce più a nutrirsi proprio perché viene a trovarsi in un terreno sterile e inquinato. E' dimostrato che il glifosato, potente erbicida, rende sterili i terreni. Mentre tornando a buone pratiche agronomiche i terreni recuperano biodiversità e le piante tornano in salute."
Chiaro???"

Niente da fare. Al di là della questione scientifica, ciò che lascia attoniti è come sia possibile che su una tema squisitamente tecnico (purtroppo con drastiche conseguenze economico-sociali-ambientali seguendo la ricetta dell'establishment tecnocratico-europeista) un quotidiano di rilievo nazionale  debba procedere con tanta superficialità, arroganza, disinformazione, pregiudizio, facendo credere erroneamente che la questione delle origini della malattia degli ulivi pugliesi sia ormai acclarata e risolta. Quando è lampante che, nella migliore delle ipotesi (pure per chi è fautore della guerra chimica e della soluzione finale per la biodiversità degli ulivi pugliesi),  il problema è ancora  controverso se non del tutto aperto.

Eppure questa semplice costatazione espone chi la fa alla gogna mediatica, orchestrata da un grande gruppo editoriale, che lascia che ti insultino senza attenersi a basilari princìpi di correttezza deontologica, senza possibilità per il malcapitato di poter eccepire alcunché, imbavagliando il dibattito con la censura preventiva nel forum e, in prospettiva, di essere persino oscurato in  rete.
Attraverso un fantomatico comitato europeo a cui la Commissione Europea affida il ruolo di bollinare ciò che è bufala e ciò che non lo è o la preannunciata tutela del copyright che, fingendo di tutelare gli autori e gli editori, di fatto impedisce la libertà di  opinione.
I rischi per la democrazia e per le fondamentali libertà costituzionali sono enormi.
Se il semplice sottolineare, asserendo banalmente solo la verità dei fatti, che allo stato attuale non ci sono certezze scientifiche di una corripondenza biunivoca tra batterio della xylella e disseccamento degli ulivi, ti condanna al pubblico ludibrio ed allo stigma del bufalaro, mette i brividi  pensare cosa potrà succedere con l'istituzione di un ministero della Verità europeo!

Il fascismo è già purtroppo in mezzo a noi e spesso veste i panni del conformismo e del partito-stato, interfaccia politica della tecnocrazia e della finanza internazionale, che ha occupato per decenni molti gangli del sistema istituzionale: quello stesso partito-stato, in buona parte espresso dal PD, che, uscito a marzo storicamente ridicolizzato dalle urne, ancora si arroga la pretesa di conferire agli altri la patente di democraticità e di certificare, chissà come, l'attendibilità delle fonti d'informazione.

venerdì 1 giugno 2018

Grazie a due eroi dei nostri tempi, Beppe e Gianroberto, con il governo Conte, nasce la III Repubblica.

Con il giuramento del Prof. Giuseppe Conte e dei suoi ministri al Quirinale e la nascita dell'inedito governo giallo-verde M5S-Lega, si può dire che nasca la III Repubblica. 
Un ringraziamento particolare va tributato a GianRoberto Casaleggio e a Beppe Grillo, che hanno reso possibile ciò che fino a ieri sembrava solo un sogno: la cacciata della vecchia partitocrazia, incompetente e parassitaria, antidemocratica e corrotta, dal Palazzo.
Qualcuno eccepisce che la Lega sia parte della partitocrazia.
No, la Lega non è ancora partitocrazia. 
E' partitocrazia chi governa da tempo immemore avendo mutato tutto delle proprie sembianze per non mutare nulla della propria identità: ovvero il partito Stato, quello che riunisce la dirigenza dei grandi partiti di massa degli anni 60, rimasti tali fino alla caduta del muro.
Costoro si sono riciclati nelle nuove formazioni politiche ed in infinte sigle: il PCI, PSI, diventati PDS, DS e poi PD con i suoi cespugli; la DC diventata PP, poi  UDC, UDEUR, CDC, Margherita, tutti confluiti nel PD, Scelta Civica, FI, ALA, ecc.
Ecco quel blocco sociale, che ha dissanguato le casse pubbliche e soffocato la democrazia italiana, usando strumentalmente l'appartenenza ideologica per perpetuare se stesso al vertice delle Istituzioni, oggi è stato messo nelle condizioni di non nuocere. 
Ci hanno rubato il passato, distruggendo le basi del contratto sociale, tradendo sistematicamente le istanze popolari che avrebbero dovuto rappresentare, ma non potranno fare altrettanto per il futuro. 
E di questo va innanzitutto reso onore e merito a Beppe Grillo. 
Che può ritenersi a tutti gli effetti il padre della III Repubblica.
Eterna riconoscenza a questo eroe dei nostri tempi.

domenica 5 marzo 2017

Ennesimo autogol di Renzi dalla Gruber

Grillo, ancora una volta, ha colto nel segno.
Che cosa voleva dire Renzi quando, riferito a suo padre, si è così espresso dalla Gruber: "Se colpevole, pena doppia per lui!"?
Tutti, ma proprio tutti, hanno capito che mentre difendeva a spada tratta il fido scudiero Lotti, non altrettanto si sentiva in animo di fare per il proprio genitore.
Giustissima osservazione di Grillo che in quel frangente Renzi avesse rottamato il padre: è quello che ha fatto credere a tutti, giornalisti di area amica compresi, ritenendo in totale buona fede che da parte sua ci fosse una presa di distanze da papà Tiziano.
Invece, per rintuzzare l'osservazione perspicace di Grillo, ha dovuto ammettere che la sua era solo una provocazione: ovvero, sotto i riflettori del talk show, ci stava semplicemente prendendo in giro!
Ennesima conferma che dice quello che non pensa e pensa quello che non dice: Italiani, state sereni!

giovedì 10 novembre 2016

E' la democrazia, bellezza!

Mentre Renzi innesta frettolosamente la retromarcia per tentare di riavvicinarsi a Trump rimangiandosi goffamente tutto ciò che gli vomitava addosso solo qualche ora fa, i media, la cui sonora batosta di ieri sembra proprio non sia servita a niente, insistono enfatizzando le  manifestazioni di chi è sceso in piazza in America per protestare contro la sua elezione.
Alla faccia delle democrazia!
Si dà il caso che la vittoria di Donald Trump sia stata decisa da trenta milioni di americani; che cosa rappresentano adesso poche migliaia di persone deluse? Nulla!
A meno che Repubblica & c. non condividano un particolare concetto di democrazia secondo cui se vince la solita élite radical chic, è tutto ok; ma se a vincere sono gli altri, allora la democrazia non va più bene.
E' lo stesso schema eversivo che si usa con i 5Stelle: l'Italicum andava bene finché i sondaggi davano per vincente il PD; ma se forse così vincono loro, è immediatamente da cambiare, perché a vincere deve essere il PD!
Ma ciò non ha nulla a che vedere con la democrazia!
Piuttosto è la PDcrazia: la PartitoDemocrazia, ovvero la dittatura del PD, partito di potere che ad esso ha sacrificato ormai pure la sua identità!
Il voto di ieri significa proprio questo: lungi da un'appartenenza ideologica che tutto irrigidisce e troppe volte deforma, il popolo americano ha dimostrato tutta la propria insofferenza verso l'establishment: guai a farlo arrabbiare! 
Ha ancora una volta avuto ragione Grillo: è stato un gigantesco Vaffa...
Il campanello d'allarme che ormai dall'Italia del M5S alla Brexit, alle presidenziali USA, suona in tutto l'occidente è che le élite devono sapere che non è più il tempo di sentirsi superiori alla 'plebe' e di gestire il potere come per investitura divina, quasi che le elezioni fossero divenute un noioso adempimento burocratico.
Se la gente si accorge che fai esattamente il contrario di ciò che ti eri impegnato a fare, se tradisci tutti gli slogan che ti eri dato finendo per svuotarli di ogni significato, se (è il caso di Obama) hai sprecato otto anni della tua amministrazione senza essere riuscito a combinare un granché, impoverendo la classe media, rendendo il mondo più insicuro, combattendo il terrorismo più sui giornali che nei vari teatri di crisi, alimentando il sospetto che stai seguendo una strategia inconfessabile, beh, ti meriti di essere rispedito a casa da un Trump qualsiasi, a dispetto di tutti i limiti che quest'ultimo palesa.
Intanto se qui in Italia, qualche sapientone dei media vorrà avvertire il Cialtrone, mai eletto da nessuno e che punta tutto sulla velocità e sul furto di sovranità, che è in arrivo il conto anche per lui, almeno gli risparmierà l'amara sorpresa che ieri ha ricevuto la Clinton.

domenica 11 gennaio 2015

I sacerdoti dell'euro che seminano il panico ad ora di cena

Venerdì sera da Lilli Gruber, a Otto e mezzo, su La7, era presente Luigi Di Maio, vicepresidente della Camera per il M5S ed il notista politico del Corriere della Sera, Massimo Franco. Nella parte conclusiva dell'intervista all'esponente del Movimento di Beppe Grillo, condotta in tandem, tentando invano di confezionargli addosso i caratteristici sandwich dialettici secondo un copione ben studiato, Franco introduce la questione del referendum per l'uscita dell'Italia dall'euro rivolgendosi a Di Maio con le seguenti, testuali, parole:
"Voi che dite di difendere gli imprenditori, l'economia del Paese, quando poi volete proporre il referendum sull'euro, per l'abolizione dell'euro, l'uscita dall'euro, se vi rendete conto [ndr: e qui scandisce con tono grave e lento, quasi ieratico, ogni singola parola] della distruzione di ricchezza dei risparmi italiani che un'iniziativa del genere comporterebbe. Cioè, è una cosa nella quale mi pare ci sia non so se più demagogia o irresponsabilità ma certamente questa storia dell'euro è veramente preoccupante per una forza che Lei vuol far diventare una forza di governo."
Alla pronta e circostanziata replica di Di Maio che definisce la moneta europea "uno dei principali cappi al collo", Franco tenta più volte di interromperlo ma Di Maio, non perdendo la calma e, soprattutto, il filo del suo ragionamento, prosegue: "Noi stiamo raccogliendo le firme, ed invito tutti i cittadini che ci ascoltano ad andare a firmare, non per uscire dall'euro direttamente ma per chiedere ai cittadini con un referendum consultivo se vogliono rimanere nell'euro oppure no. Io voterò per l'uscita dall'euro e dal mio punto di vista abbiamo fatto una campagna di sensibilizzazione..." 
"Male!" lo rimprovera duramente Franco che gli toglie la parola profetizzando con tono drastico ed una sicurezza improbabile sciagure bibliche: "una disoccupazione che schizza in alto, un'inflazione a due cifre, la distruzione del risparmio... e pagherebbero soprattutto le persone più povere!"
"Assolutamente no!" - replica Di Maio - "Questa è una campagna di terrore che volete fare sull'euro!". La Gruber che in precedenza aveva bollato come "Tesi assai ardita" la presa di posizione del deputato 5Stelle lo bacchetta stizzita e liquida seccamente il confronto: "No, no,no qui non facciamo campagne di terrore!"
  
Questa è la mera cronaca dei fatti. Adesso alcuni interrogativi che sorgono spontanei:

1) Il giornalista Massimo Franco sta lì per fare delle domande, attendendo serenamente le risposte dell'intervistato, oppure, come appare in questo caso, neppure vuole ascoltarle fino a provare ad impedire a Di Maio di concludere il suo breve ragionamento?
Non è che il il suo compito sia piuttosto quello di rifilare al telespettatore surrettiziamente le sue, di risposte?

2) Sulla base di quali titoli accademici, di quali studi, di quali titoli professionali, di quali specifiche competenze, egli può generalizzare in forma così categorica e perentoria, le sue personalissime e fallaci opinioni sulla questione, come un sacerdote che disvela ai fedeli un dogma della fede?

3) Mentre è in corso, come sappiamo, da parte del Movimento 5Stelle la raccolta di firme per dare l'ultima parola agli Italiani, è deontologicamente corretto seminare in diretta televisiva il panico sul tema?

4) Com'è possibile che su una questione tutto sommato "tecnica" (moneta nazionale o moneta europea?) e quindi politicamente neutra si scateni da parte del PUDE (felice espressione coniata dal Prof. Alberto Bagnai per identificare coloro che da una cattedra universitaria o da una sedia di redazione, o, più comodamente, da uno scranno parlamentare, hanno aderito anima e corpo al Partito Unico Dell'Euro) una vera e propria guerra di religione contro gli "infedeli"?

5) Poiché stiamo attraversando il più lungo e tribolato periodo della storia economica dell'Italia unita, con dati su finanza pubblica, disoccupazione e recessione, veramente drammatici nella loro unicità, nonostante la sbandierata rete di sicurezza della moneta unica millantata dal PUDE, come si fa semplicemente a dire in televisione che la condizione generale delle famiglie italiane possa anche minimamente peggiorare qualora gli Italiani rinuciassero all'Euro?

6) Qual è il motivo di tanta animosità dei "sacerdoti dell'euro"?

7) Ma il giornalista di turno mette al corrente il pubblico che ci sono ben nove (9!) paesi dell'Unione Europea a non aver aderito all'euro, pur facendone parte a pieno titolo, tra cui Regno Unito, Danimarca, Svezia?

8) Con quale coraggio oggi si difende la scelta dell'euro di fronte a dati economici e sociali così catastrofici?

9) Perché non favorire negli Italiani, grazie ad un'informazione completa, chiara e pluralista, una riflessione approfondita sul tema per dare a ciascuno la possibilità di formarsi una propria opinione e seguire con maggiore attenzione  e capacità di discernimento almeno una parte dell'impressionante mole di dati economici che quotidianamente ci piovono addosso e, quindi, permettere a tutti di valutare gli eventi in corso con maggiore cognizione di causa?

10) Vista la crisi d'identità in cui versa l'Unione Europea, soprattutto a causa della moneta unica, data la difficoltà per i popoli europei di scoprirsi comunità solidarizzando profitti e perdite di tale ambizioso progetto politico, probabilmente troppo avveniristico rispetto alle diverse sensibilità ed egoismi nazionali ancora perduranti, non sarebbe il caso di prendersi la doverosa pausa di riflessione, consentendo almeno di aprire subito un'ampia discussione a livello continentale per ritrovare le ragioni profonde ed il senso di un'appartenenza comune che non deve escludere nessuno, in primis la Grecia, culla della civiltà occidentale, come invece si sta vociferando in questi giorni insistentemente?

martedì 2 dicembre 2014

Colpo di scena a "Piazza Pulita": dietro la fronda dei 5Stelle contro Grillo, spunta lo zampino di Renzi

Ora si sa che Renzi, sotto sotto, cercava da tempo  di avvelenare i pozzi del M5S.
La frequentazione telefonica con Massimo Artini, il deputato 5Stelle espulso qualche giorno fa perché non rendicontava nè effettuava a dovere i rimborsi al fondo voluto dal Movimento a sostegno dalla piccola media impresa, è di una tale scorrettezza che, nella storia parlamentare italiana,  trova confronti possibili forse soltanto con la vicenda giudiziaria in corso a Napoli, che vede indagato Berlusconi per la presunta compravendita di senatori. 
Infatti non è compito del premier intervenire così, dietro le quinte, di soppiatto: la presunta "solidarietà" nei confronti del deputato espulso dal gruppo parlamentare di Beppe Grillo (beninteso, non dalla Camera, di cui rinfoltirà a breve il già sovrabbondante gruppo Misto), se  eventualmente andava manifestata, ammesso e non concesso che lo fosse,  andava espressa in pubblico! 
Inoltre, non è mai successo che un leader  metta becco su vicende interne di un'altra forza politica, addirittura del principale competitor: ne va, prima di ogni altro principio attinente la divisione dei poteri, del garbo e del decoro istituzionale.
Nel servizio andato in onda ieri sera a "Piazza Pulita" (la trasmissione su La7 di Corrado Formigli, concepita in modo spudorato per assestare il colpo di grazia alla credibilità del Movimento, si è poi rivelata paradossalmente un boomerang per gli autori), si scopre inaspettatamente che Artini e Renzi si conoscono da una vita! 

Insomma, con consensi in picchiata, data la sua politica fallimentare su tutti i versanti, in primis quello economico, Renzi trama nell'ombra alla stregua di un Verdini qualsiasi, fomentando la congiura tra i 5Stelle, pur di restare a galla. 
Cosa gli avrà promesso?? 
Beppe Grillo ancora una volta ha avuto mille e una ragione nel chiedere alla rete l'immediata espulsione di Artini, che solo qualche giorno fa venne accusato di aver clonato il portale on line del Movimento, impadronendosi, pare, delle credenziali di accesso dei votanti al sistema operativo a 5stelle. 
Si può soltanto immaginare quanto questa accusa, se sarà confermata, insieme alla contiguità del deputato pentastellato con Matteo Renzi, di cui si è venuti a conoscenza, inaspettatamente, proprio da Formigli, siano drammaticamente esiziali per il futuro del Movimento!
Ma l'attacco proditorio di Renzi a Grillo ricalca in modo impressionante quello portato a segno soltanto dieci mesi fa contro l'allora premier Enrico Letta, suo collega di partito, che venne defenestrato in 48 ore  dopo che l'ex sindaco di Firenze  pubblicamente lo aveva rassicurato con l'hashtag #Enricostaisereno. 
Insomma, il 'rottamatore' usa metodi abietti di lotta politica.
Ciò stona in modo stridente con le ipermediatizzate positive novità del nuovo corso renziano che dichiara di puntare sulla trasparenza e la nettezza del messaggio politico. 
Invece, alla fine della fiera, si avverte nel comportamento di Renzi il portato di tutto il peggio della vecchia politica in salsa democristiana, quella per cui, in sostanza, bisogna guardarsi dagli amici più che dai nemici.
Rottamare una classe politica, promettendo sotto le luci delle telecamere sfracelli di cambiamenti ed un futuro moralmente luminoso per il Paese, abusando di toni salvifici e quasi messianici, per finire ad alimentare, nell'ombra, torbide e spregiudicate manovre di palazzo, all'insegna del machiavellismo più becero, non è per niente un buon viatico per chi si è presentato solo pochi mesi fa al Paese, con la battuta pronta ed un sorriso aperto, come un modello di moralità e di intraprendenza giovanile dietro una faccia pulita.

Ora si sa che Renzi, sotto sotto, cerca da tempo  di avvelenare i pozzi del M5S: la frequentazione telefonica con Artini è di una scorrettezza parlamentare che ricorda Berlusconi. Non è compito del premier intervenire così, dietro le quinte: la presunta "solidarietà" si esprime in pubblico! Poi, non è mai successo che un leader  metta becco su vicende interne di un'altra forza politica, addirittura del principale competitor. Si scopre che Artini e Renzi si conoscono da una vita! Con consensi in picchiata, data la sua politica fallimentare, Renzi, trama nell'ombra come Verdini, fomentando la congiura tra i 5Stelle. Cosa gli avrà promesso?? Grillo ancora una volta aveva mille e una ragione nel chiedere alla rete l'immediata espulsione: l'attacco proditorio di Renzi a Grillo ricalca quello con cui venne defenestrato Letta. Il 'rottamatore' usa metodi abietti di lotta politica.
Ora si sa che Renzi, sotto sotto, cerca da tempo  di avvelenare i pozzi del M5S: la frequentazione telefonica con Artini è di una scorrettezza parlamentare che ricorda Berlusconi. Non è compito del premier intervenire così, dietro le quinte: la presunta "solidarietà" si esprime in pubblico! Poi, non è mai successo che un leader  metta becco su vicende interne di un'altra forza politica, addirittura del principale competitor. Si scopre che Artini e Renzi si conoscono da una vita! Con consensi in picchiata, data la sua politica fallimentare, Renzi, trama nell'ombra come Verdini, fomentando la congiura tra i 5Stelle. Cosa gli avrà promesso?? Grillo ancora una volta aveva mille e una ragione nel chiedere alla rete l'immediata espulsione: l'attacco proditorio di Renzi a Grillo ricalca quello con cui venne defenestrato Letta. Il 'rottamatore' usa metodi abietti di lotta politica.

mercoledì 12 novembre 2014

Fuggire dall'Euro! L'unica chance dopo le parole agghiaccianti di Draghi

Parole agghiaccianti quelle pronunciate oggi da Mario Draghi, governatore della BCE, intervenuto  all'Università Roma Tre ad un convegno su Federico Caffé, a 100 anni dalla sua nascita. 
Mentre all'esterno della facoltà di Economia un corteo di studenti veniva "contenuto" dalle solite manganellate dalla polizia di Renzi.
Insomma, dopo gli operai  (della Thyssen Krupp), a subire la scure della finanza è ora la volta degli studenti.
"Non si tratta di perdere la sovranità", quella l'hanno persa i Paesi troppo indebitati, "ma di acquistarla condividendola con altri Paesi dell'Eurozona"
Parole che delineano, senza mezze misure, l'incubo kafkiano in cui è piombata l'Italia da quando ha aderito alla moneta unica.
Il re è nudo. Ormai non siamo più padroni di nulla: neppure della povertà, quella di cui erano così orgogliosi i nostri genitori e i nostri nonni, che pure combattevano instancabilmente, giorno dopo giorno, per assicurarci un futuro migliore.
Siamo purtroppo in balìa di un gruppo di banchieri che, numeri alla mano, dopo averci depredato di ogni ricchezza per coprire i loro tragici errori di gestione, adesso hanno rialzato la testa e, irriconoscenti, vogliono pure cacciarci fuori dalla nostra terra e dalle nostre case. 
In nome del dio Euro, senza che nessuno in tutto questo tempo ci abbia mai avvisato, nè interpellato prima  di spingerci giù nel precipizio.
Come tutto ciò sia compatibile con la nostra democrazia resta un mistero. 
Ma qualcuno, la nostra classe dirigente, i politici, dovranno pure rendere conto di fronte al Paese di aver permesso la sua occupazione silenziosa e inesorabile: quella portata avanti, anonimamente, sui monitor azzurrognoli dei borsini, a colpi di spread, del prosciugamento progressivo della liquidità, di una disoccupazione generalizzata, della cessione ormai già consumata della nostra sovranità.
Ma chi sono costoro che possono venire a comandare a casa nostra? 
Dove sta il Presidente della Repubblica, il Parlamento, il Governo, la nomenklatura di destra e di sinistra dell'ultimo ventennio che hanno permesso, per il proprio vantaggio personale e familiare, la perpetrazione di un simile disegno eversivo?
Perché qui i reati di alto tradimento, di attentato al funzionamento degli organi costituzionali, di eversione, ci sono tutti. E qualcuno dovrà pur pagare per tale ecatombe morale prima ancora che finanziaria ed economica!
Ancora una volta Beppe Grillo aveva visto giusto: tutti a casa (e molti in galera!).
Ed uscire dall'Euro diventa ora un imperativo categorico e non procrastinabile per ogni Italiano che abbia a cuore la propria terra, voglia tutelare le proprie radici, prima che i lanzichenecchi la saccheggino per l'ultima volta riportandola, come sentenziava cinicamente il cancelliere austriaco Metternich, ad un'espressione geografica.
Ma se questo è lo scenario, il premier Matteo Renzi, che non può non conoscerlo, ci sta soltanto spudoratamente prendendo in giro.
Tutto è perduto, fuorché l'onore: ma per riprendercelo, dobbiamo fare in fretta. 
Fuori dall'Euro, il prima possibile!



sabato 18 ottobre 2014

Finalmente Marco Travaglio manda al diavolo Santoro

Era ora. Finalmente Marco Travaglio, dopo aver incassato per settimane senza replicare le reprimende di Michele Santoro, lo ha finalmente mandato al diavolo.
Un Santoro sempre più nervoso, in evidente crisi di idee e di ascolti,  proteso come appare a completare il riavvicinamento al vecchio establishment di centrosinistra, ha duramente ripreso, nell'ultima puntata andata in onda di Servizio Pubblico, il suo collega che stava mettendo in difficoltà con critiche acuminate il plenipotenziario del PD in terra ligure, Claudio Burlando, uno degli sciagurati amministratori nel periodo di cementificazione selvaggia della Liguria: in punta di logica, uno dei presunti responsabili dell'odierno dissesto idrogeologico che ha provocato, con l'ultima alluvione della settimana scorsa a Genova, centinaia di milioni di euro di danni ed una vittima.
Santoro è un giornalista molto conosciuto, ma anche, come sappiamo, un personaggio televisivo che da trent'anni flirta con la politica, verso cui nutre un rapporto di amore-odio. Perché è la politica, con i propri guasti, le proprie magagne, le proprie lusinghe, ad averlo lanciato sulla ribalta nazionale (è stato pure europarlamentare nelle liste dell'Ulivo nel 2004, insieme alla Gruber!) ma è con la politica che ha in passato ingaggiato le contese più eclatanti (dal rapporto ambivalente con Berlusconi di cui è pure stato dipendente in Mediaset, alla causa di reintegro intentata contro la Rai dopo l'editto bulgaro). 
E' solo rispolverandone la biografia che si può comprendere fino a fondo il suo odierno comportamento, per lo meno contraddittorio, nei confronti della Casta, la cui critica impietosa delle malefatte si ferma sorprendentemente a metà. 
E' così, che la nomenklatura di destra e di sinistra, le cui pesantissime responsabilità sono sotto gli occhi di tutti ed oggi  marchiano a fuoco la vita di milioni di italiani, un dissesto a 360 gradi, politico-morale- economico-finanziario, ora persino idrogeologico, trova in Santoro un insospettabile difensore.
Quando qualcuno, come Marco Travaglio, finalmente, rinfaccia ad uno dei gerarchi del regime, il presidente della Regione Liguria Claudio Burlando, le mostruose nefandezze del sacco edilizio, la cementificazione selvaggia, la distruzione del verde in stile Attila,  ecco che Santoro inopinatamente gli si mette di traverso in un improvvisato gioco di sponda con il potente di turno.
Del resto, in veste di paladino della Casta, il conduttore di Servizio Pubblico  già aveva inaugurato la serata con un attacco violentissimo e del tutto gratuito a Beppe Grillo, additato, Dio solo lo sa, ad unico assoluto responsabile di tutti i guai italiani, persino dell'alluvione genovese!
Perché abbiamo dovuto guardare il Santoro-show per scoprire una sconcertante verità sulle alluvioni di Genova: negli ultimi trent'anni in quelle terre non hanno sgovernato, come qualche ingenuo crede e la Storia ci racconta,  le varie giunte di centrosinistra, comuniste, piddine, responsabili di una politica di sistematico stupro del territorio; e neppure al governo nazionale c'è mai stato per anni il centrosinistra, con Burlando pure ministro dei trasporti!
No, niente di tutto questo: era Beppe Grillo, ci suggerisce Santoro, sì avete capito bene, proprio lui,  l'ex comico genovese a tirare le fila di ogni abuso! Mentre il suo sosia teatrante gli garantiva un finto alibi, inventandosi un diversivo con lucrosi spettacoli da tutto esaurito in giro per la penisola.
Eccola squadernata in diretta televisiva la verità di Michele Santoro: Burlando è un martire, Travaglio un aguzzino antidemocratico... e Grillo l'artefice unico di ogni bruttura italica!

A questo punto, sarà chiaro a tutti perché ha fatto benissimo Travaglio a spezzare questo imbarazzante sodalizio, nato anni fa sotto i migliori auspici con l'obolo dei 100'000 sognatori, ma divenuto, puntata dopo puntata, un abominio. Che poi vuol dire, in termini di audience, 'spegnere' Santoro.
Perché il giovedì sera abbiamo di meglio da fare che assistere all'esperto lavoro di lingua di Santoro che si fa schermo di Travaglio per portare su l'audience e continuare indisturbato a flirtare con la Casta.

venerdì 22 agosto 2014

Dalla crociata del PD contro Di Battista al ripensamento di Vauro: quando la sinistra è in affanno

Sul Fatto Quotidiano del 19 agosto, Vauro Senesi prende le difese di Alessandro Di Battista, il deputato pentastellato che, in un articolato e lungo intervento sul blog di Beppe Grillo, esamina la complessa e pericolosa situazione mediorientale: un'analisi approfondita e pacata che mette in evidenza le gravi responsabilità dell'Occidente, con particolare riferimento all'Iraq dove oggi imperversa la guerriglia dell'ISIS, l'autoproclamato Stato Islamico, dopo la criminale guerra scatenata nel 2003 dagli USA contro Saddam Hussein, sulla base del finto pretesto di cercare le armi di distruzione di massa. 
Quelle stesse armi, fornitegli in abbondanza a suo tempo proprio dagli Stati Uniti, che il dittatore iracheno non possedeva più avendole utilizzate quindici anni prima principalmente nel conflitto contro l'Iran e, per la parte residua, contro le popolazioni curde. 
Ma, va sottolineato, in quelle due occasioni, nessuno in Occidente si era stracciato le vesti per l'utilizzo di armi chimiche. 
La vicenda aveva fatto clamore solo dopo che gli Stati Uniti, vista l'ingratitudine di Saddam dimostrata con l'invasione del Kuwait, avevano deciso che colui che era stato fino ad allora una loro creatura, era divenuto all'improvviso troppo ingombrante e pericoloso: insomma, il loro nuovo nemico!
E, per la politica estera a stelle e strisce, si è continuato per decenni ad andare avanti così: i fidi alleati che diventano all'improvviso nemici per poi tornare ad essere amici, in un frenetico e azzardato rimescolamento di carte.
Una condotta schizofrenica che non poco ha contribuito a generare il caos odierno: nemmeno un anno fa Barack Obama voleva attaccare la Siria, sempre con la scusa delle armi chimiche, dando manforte proprio ai ribelli di Al Quaeda (un altro nemico  a seconda delle stagioni) e ai jihadisti che, adesso, sono diventati di colpo il nuovo nemico da eliminare.
La mancanza di visione strategica e di totale fallimento della politica estera americana (anche al di là della gravissime responsabilità americane sulla ennesima crisi di Gaza, con oltre duemila morti uccisi dai bombardamenti israeliani) è sotto gli occhi di tutti.
Il ragionamento di Di Battista sottolinea proprio la necessità di evitare facili etichettature delle forze in campo, visto che vengono contraddette in primis proprio dagli etichettatori, gli USA, a cui l'Italia di Renzi oggi si accoda senza un minimo di autonomia e, quel che è peggio, di discernimento: per non parlare di interesse nazionale!
Quindi c'è la necessità, proprio per provare ad impedire l'estensione del conflitto a macchia d'olio, di iniziare a rinnovare le stesse categorie semantiche della politica estera. A partire dal significato da attribuire al termine terrorista
Due gli argomenti chiave proposti da Alessandro Di Battista:
[...]"A questo punto mi domando quanto un miliziano dell'ISIS capace di decapitare con una violenza inaudita un prigioniero sia così diverso dal Segretario di Stato Colin Powell colui che, mentendo e sapendo di mentire, mostrò una provetta di antrace fornitagli da chissà chi per giustificare l'imminente attacco all'Iraq. Una guerra che ha fatto un numero di morti tra i civili migliaia di volte superiore a quelli provocati dallo Stato Islamico in queste settimane. La sconfitta del sunnita Saddam Hussein scatenò la popolazione sciita che covava da anni desideri di vendetta. Attentati alle reciproche moschee uccisero migliaia di persone. Da quel giorno in Iraq c'è l'inferno ma i responsabili fanno shopping sulla Fifth Avenue e vacanze alle Cayman."
[...]"Dovremmo smetterla di considerare il terrorista un soggetto disumano con il quale nemmeno intavolare una discussione. Questo è un punto complesso ma decisivo. Nell'era dei droni e del totale squilibrio degli armamenti il terrorismo, purtroppo, è la sola arma violenta rimasta a chi si ribella. E' triste ma è una realtà. Se a bombardare il mio villaggio è un aereo telecomandato a distanza io ho una sola strada per difendermi a parte le tecniche nonviolente che sono le migliori: caricarmi di esplosivo e farmi saltare in aria in una metropolitana. Non sto né giustificando né approvando, lungi da me. Sto provando a capire. Per la sua natura di soggetto che risponde ad un'azione violenta subita il terrorista non lo sconfiggi mandando più droni, ma elevandolo ad interlocutore. Compito difficile ma necessario, altrimenti non si farà altro che far crescere il fenomeno."
Su queste ultime parole, come i lettori sapranno, si è scatenato l'inferno: hanno preso subito la palla al balzo i farisei del PD (in primis la modesta Debora Serracchiani) che, dovendo coprire mediaticamente il dono di armi che il governo Renzi stava progettando per i curdi, hanno  preso di mira Di Battista, estrapolando le parole che più facevano comodo, descrivendolo come amico dei terroristi, ignorando deliberatamente il ragionamento sottostante. 
Ma la vera ciliegina sulla torta l'ha posta il giornalista Francesco Merlo con un commento su Repubblica così ignobile ed intimidatorio, una sorta di schedatura velenosa, che richiederebbe assolutamente una risposta del deputato pentastellato per vie legali. Si potrebbe chiosare: se questo è un giornalista...
Nemmeno gli ultras in curva, durante il derby, sanno fare di peggio: siamo arrivati al linciaggio bell'e buono, senza che nessuno dentro la cosidetta sinistra parlamentare abbia da subito avuto la dignità di tentare un ragionamento. 
Maestro di cerimonie di questo scempio mediatico è stato addirittura il premier Matteo Renzi che ha rilanciato un vergognoso (o demenziale) tweet del presidente PD Matteo Orfini: "E i grillini rifiutano il confronto sulla riforma della giustizia...coi terroristi bisogna interloquire, ma guai a farlo col governo...".
Ormai la politica nel PD segue la logica del branco e viene fatta necessariamente soltanto con gli slogans: il ragionamento, la riflessione, sono rigorosamente vietati.
Ma intanto nella società civile qualcuno ha avuto il coraggio di leggere, finalmente, le parole di Di Battista, scoprendo che non contenevano nulla di sconvolgente e che, con diverse sfumature a seconda della personalità, la sua analisi poteva essere un buon punto di partenza per approcciare da Italiani il problema mediorientale.
Così l'intervento di Vauro cerca di rimettere a sinistra le cose un po' in ordine, smarcandosi radicalmente dai toni da crociata usati dal vertice piddino contro i 5Stelle. 
La cosa ha sicuramente meravigliato, conoscendo i giudizi tutt'altro che generosi,  che il disegnatore satirico ha rivolto da sempre contro il M5S.
Che Vauro cominci a pentirsi di avere fino a ieri astiosamente attaccato a testa bassa il M5S? 
Però, non se la può cavare così facilmente! Di tutto quell’odio viscerale sono in molti da tempo a chiedergli lumi.
Perché in una famigerata vignetta, proprio alla vigilia delle amministrative vinte quest'anno dal M5S a Livorno, Vauro si rappresenta nell’atto di evirarsi piuttosto che votare il M5S. 
Un attacco satirico evidentemente distruttivo, che non lascia vie di mezzo: una scomunica politica senza se e senza ma.
In una fase storica in cui è in atto un colpo di stato strisciante (che data almeno da tre anni, dal defenestramento di Berlusconi deciso da Napolitano, mesi prima dell’attacco speculativo contro l’Italia), tambureggiare in modo così esiziale l’unica forza politica che ha dato voce ai cittadini, nell'ambito di un panorama mediatico monopolizzato dalla sistematica disinformazione e dal quotidiano bombardamento di giornali, tv, rai, contro di essa, è un comportamento veramente vile e miope.
Poi si può dire tutto quello che si vuole sui limiti del M5S, sui problemi di democrazia interna, ecc. ma è chiaro che senza Grillo il miracolo di un movimento di cittadini che ha messo alle corde la Casta non solo non ci sarebbe stato ma non sarebbe stato neppure immaginabile.
Problemi di democrazia interna? Forse.
Sì, che, di enormi, non ce ne sono stati da sempre dentro il PD, caratterizzato da un modello di finto assemblearismo che ha assicurato ad libitum libertà di azione e di deragliamento politico alla nomenklatura, le cui scelte sono state subite dalla base senza alcun autentico spazio di confronto.
Basta aver bazzicato per qualche tempo le sezioni per rendersene conto: tant’è che ormai sono sparite e le poche rimaste sono semideserte, frequentate da pochi galoppini. 
Non è un caso che il fenomeno Renzi è un’invenzione di matrice quasi esclusivamente mediatica!
Ma, si sa, la trave nel proprio occhio non risalta quanto la pagliuzza in quello altrui.
Se il M5S non avesse avuto una guida politica solida, ferma e coerente, al limite della durezza, con una comunicazione tanto brusca quanto alla luce del sole, oggi, nella migliore delle ipotesi, sarebbe la quintessenza della nullità o dell'irrilevanza politica, tipo il partito di Vendola, SEL. 
Per la somma soddisfazione dei maggiorenti del PD che potrebbero continuare a fregare gli Italiani, infischiandosene pacatamente della loro reazione!
Ecco perché da Vauro si attendono, se arriveranno, spiegazioni più convincenti: che il suo atteggiamento demolitorio contro il Movimento  sia riconducibile esclusivamente al suo sacro furore contro il presunto insufficiente tasso di democrazia interna, lascia davvero molto, ma molto perplessi. 

domenica 15 giugno 2014

Nostalgia canaglia: il centralismo democratico

Ronfando sull'Amaca, Michele Serra oggi riscopre a sorpresa, in una sorta di delirio onirico, il centralismo democratico: "...quanto era savio il metodo (ipocrita ma funzionale) del “centralismo democratico”, che nel vecchio Pci permetteva al dissenso di sopravvivere solo dentro le mura del partito, ma fuori di esse imponeva agli iscritti di ogni ordine e grado di appoggiare la linea politica stabilita a maggioranza, o quantomeno di non boicottarla.
Riadottarlo o imitarlo, come conclamata eccezione alla regola renziana della discontinuità, sarebbe opportuno. Ciò che oggi puzza di epurazione o di censura, riacquisterebbe il significato doloroso ma pulito della disciplina: a patto, ovviamente, che nei congressi e nelle sedi interne si ricominci, come ai bei tempi, a scannarsi sulla “linea”, poco importa se a porte chiuse o in streaming, così che ci si possa sfogare ben bene, e quando si arriva davanti al microfono di un tigì tutti siano più tranquilli. O rassegnati."

Ma come? E la strenua difesa urbi et orbi dell’art. 67 con il divieto di vincolo di mandato portata avanti sui media per mesi che fine ha fatto?
Ma fino a pochi giorni fa non erano proprio gli intellettuali di sinistra ad invocarlo contro le presunte epurazioni ordinate via web dal ‘despota’ Grillo? O forse è semplicemente cambiato il vento e Serra, da buon annusatore dell’aria che tira, è diventato renziano pure lui?
Ma sì, che almeno abbia la dignità di ammetterlo pubblicamente!
Scaltramente ha capito che farsi paladino dell’art. 67 è fondamentale quando si tratta di stendere palate di fango su Grillo e il M5S dalle colonne di Repubblica (come il suo datore di lavoro esige inderogabilmente un giorno sì e l’altro pure). 
Ma quando sbandierarlo può irritare il manovratore di Firenze, che ha mostrato in più occasioni una schietta insofferenza alle regole democratiche, ecco che l’intellettuale radical chic agisce di conseguenza e, dopo aver rovistato tra le chincaglierie della dimenticata soffitta del PCI, tira fuori, un vecchio arnese ideologico, rimuovendone la polvere a mani nude: il centralismo democratico.
Infine, con una bella passata di impregnante antitarlo e antimuffa, che ne lasci la patina d’antico, inscenando, sull’onda lunga del trentennale della scomparsa di Berlinguer, una astuta operazione nostalgia, ecco finalmente pronto il salvacondotto per Renzi, che lo immunizza da subito e per il futuro dall’accusa di autoritarismo o gestione verticistica del partito.
Anche se, nel quotidiano esercizio di cercare la pagliuzza nell’occhio altrui e di ignorare la trave nel proprio, Serra trascura un piccolo dettaglio: che il centralismo democratico sta all’art. 67, un po’ come il diavolo all’acqua santa.
Ma si sa: gli intellettuali radical chic hanno, al momento opportuno, una sorprendente capacità di distrarsi…

domenica 1 giugno 2014

E' partita la campagna europea di Repubblica contro il M5S

E' in atto da qualche giorno un pericoloso e astutissimo tentativo: costringere il M5S, influenzandone subdolamente i suoi simpatizzanti, a confluire nel gruppo dei Verdi nel Parlamento europeo. 
A questo scopo, stanno tentando di demonizzare la figura di Nigel Farage, leader dell'UKIP, il trionfatore del test elettorale di domenica scorsa in Gran Bretagna, con cui Beppe Grillo ha recentemente avuto uno scambio di opinioni circa il possibile ingresso del suo movimento nell'EFD (Europe of Freedom and Democracy) che consente, a differenza degli altri gruppi presenti nel Parlamento di Bruxelles, di poter votare liberamente secondo le proprie convinzioni, rispecchiando cioè il proprio programma, le preferenze politiche e l'interesse nazionale. Cosa che invece non potrebbe accadere se il M5S confluisse nei Verdi, alla cui disciplina di gruppo dovrebbe rigorosamente attenersi.
Per intenderci, i Verdi sono, in campo politico-istituzionale, fautori dell'integrazione europea; sul piano economico, sostengono l'Euro così com'è; in politica estera, sono stati a favore di tutte le operazioni militari condotte dalla Nato negli ultimi anni (dall'Iraq, all'Afganistan, alla Libia) e pronti ad  appoggiare la folle missione, scriteriata già dal punto di vista squisitamente strategico, di attacco missilistico contro la Siria, caldeggiata da Barack Obama.
Per farla breve, nel momento in cui i 5Stelle entrassero nel gruppo dei Verdi, sarebbe per loro impossibile mettere in discussione la moneta unica e la criminale politica di austerity della Commissione europea che sta riducendo sul lastrico milioni di persone, mietendo migliaia di vittime in mezza Europa.
Non a caso chi è il principale sponsor politico-mediatico di questo deragliamento del M5S fuori da gran parte della sua piattaforma programmatica? 
Naturalmente il gruppo editoriale L'Espresso-Repubblica di Carlo De Benedetti, tessera n. 1 del PD . 
Ma com'è possibile che, d'improvviso, dopo aver sparso palate di fango incessantamente da anni su Grillo e il suo Movimento, i 'repubblichini' avrebbero preso così a cuore le alleanze europee proprio del principale concorrente del PD? 
Di solito, la storia repubblicana ci insegna che gli avversari non entrano a gamba tesa nel dibattito interno di una forza politica per almeno due ordini di motivi: sia per una sorta di correttezza deontolgica che vuole che ciascuno i propri panni sporchi se li possa lavare tranquillamente in famiglia. Ma soprattutto perché un'intromissione  esplicita diverrebbe la prova inoppugnabile di un'indebita interferenza, cioè del tentativo di volerla fagocitare: il che non è certo il massimo della democraticità e della trasparenza, potendo infine rivelarsi un'arma a doppio taglio.
Ma in un clima talmente avvelenato come quello italiano dove la Casta, con la carta Renzi, ha giocato il tutto per tutto per non affondare e rispondere un domani delle nefandezze commesse ai danni dei cittadini, ormai ridotti alla disperazione, ciò era ampiamente prevedibile. 
Inforcando all'occorrenza i paraocchi ideologici di cui un attimo dopo si sbarazzano con uguale disinvoltura, e grazie allo stato pietoso dell'informazione in Italia, ecco che, dopo Grillo, i piddini hanno preso di mira Nigel Farage, non solo dipingendolo come il nuovo Hitler ma, soprattutto, riuscendo a neutralizzare mediaticamente il suo trionfale successo elettorale.
Così l'abile tentativo di Grillo di portare la battaglia antisistema al livello più elevato e decisivo, quello delle istituzioni europee, con una convergenza su pochi punti qualificanti (in primis, il fronte antieuro) con le altre forze euroscettiche, che potrebbero così coabitare in una sorta di gruppo misto, trova il suo principale ostacolo proprio nella disinformazione di regime targata PD.
Gli attivisti e i simpatizzanti, gli elettori del M5S, stiano pertanto molto attenti!
Costringere il loro movimento nel gruppo dei Verdi, sulla base di riflessi pavloviani di ideologismo novecentesco instillati dai piddini con la complicità di qualche giornale, significherebbe farlo inevitabilmente accodare alle politiche affamatrici e distruttrici di ricchezza della Troika, con la conseguenza di perdere tutta la propia carica innovatrice e rivoluzionaria.
Perché senza sovranità monetaria, cioè senza sovranità economica, l'Italia da nazione-stato è diventata in dieci anni una sorta di maxicondominio dove, al più, chi amministra può solo cercare di ripartire le spese annue tra i cittadini. 
Niente di male se non ci si rendesse conto che, proprio a causa di questa retrocessione, decisa dall'alto senza minimamente pensare di informare e magari interpellare i cittadini, questi hanno sempre meno soldi a disposizione.
Con l'ovvia conseguenza che anche il più formidabile degli amministratori, pure se fosse messo nelle condizioni di tagliare fino all'ultimo euro di spreco, non potrebbe assolutamente riportare i conti in ordine e restituire un po' di serenità ai suoi condòmini.
Insomma, nella gabbia dorata dell'euro a cui la nomenklatura piddina ci condanna, tradendo la Costituzione e il mandato popolare, la vita del M5S si fa veramente difficile e le aspettative per una politica onesta e leale nei confronti dei cittadini, una chimera; sempreché non si riesca a ribaltare con altre forze il tavolo europeo.
Ecco perché da Repubblica e dal mainstream, sfacciatamente eurista, sono cominciati di nuovo a  risuonare quegli stessi ritornelli insulsi con cui l'anno scorso, all'indomani della grande vittoria del 24 febbraio, si voleva costringere Grillo a firmare una delega in bianco a Pierluigi Bersani, per dare un appoggio incondizionato ad un monocolore piddino: "ma uno non vale uno?", "gli italiani non hanno eletto Grillo", "Grillo? Chi è costui?" e falsità e idiozie simili. 
Adesso nel mirino degli editorialisti di Repubblica c'è finito, c'era da aspettarselo, Nigel Farage. 
Per capire a che livello di degrado intellettuale gli editorialisti sono disposti a scendere, basta riportare testualmente le parole di Michelle Serra in una sua recente Amaca che così  lo descrive:  "un tizio inglese che detesta gli immigrati e sogna il ritorno delle donne ai fornelli."
Ci sarebbe da ridere scuotendo contemporaneamente la testa se tutto ciò non fosse drammaticamente vero.
Ma ormai, e la vittoria del Pd di domenica scorsa ce lo conferma, una cosa è assodata: la menzogna, ripetuta all'inverosimile, paga alla grande.


sabato 31 maggio 2014

Volteggiando sull'Amaca, Serra coglie la pagliuzza ma non bada alla trave

Sull'Amaca odierna, Michele Serra fa finta di non sapere che Grillo non è un parlamentare, non ricopre alcuna carica politica. Pertanto da cosa si dovrebbe dimettere (come lui stesso ripete da qualche giorno)?
Sì, è vero, è il fondatore del M5S: e allora? Dovrebbe forse rinnegare la paternità del suo Movimento? Un po’ come se Eugenio Scalfari rinnegasse di essere il fondatore di Repubblica. E’ chiaro che assistiamo al delirio livoroso di un sinistroide in panni radical chic.
Per far contento Serra, Grillo dovrebbe forse chiudere il blog? Compagni, alla faccia della libertà di pensiero (e di stampa)!
E dove sta scritto che una forza politica che, comunque, ha preso il 21% dei voti, 2° partito italiano, dovrebbe disconoscere il suo padre fondatore, grande artefice, solo 15 mesi fa, di un vero e proprio miracolo del consenso?
Insomma, giusto per fare un favore a Serra, al soldo della corazzata di De Benedetti, il gruppo editoriale che da anni, con un accanimento inspiegabile, getta palate di fango su Grillo e il suo Movimento.
E poi se proprio dovessimo parlare di coerenza, com’è che Serra non ha avuto nulla da obiettare nei confronti di Renzi quando, tre mesi fa, il sindaco di Firenze si è insediato a Palazzo Chigi con la più classica delle congiure di palazzo, dopo aver spergiurato in lungo e largo che mai sarebbe diventato premier senza prima un passaggio elettorale?
E magari piuttosto che scandalizzarsi di un’alleanza di comodo in funzione anti-euro per costituire a Bruxelles un gruppo parlamentare con un “tizio inglese” (che, malgrado il minimalismo di Serra, ha scalzato in un colpo solo laburisti, conservatori e socialdemocratici, non a Topolinia, ma in Gran Bretagna), Serra com’è che non si straccia le vesti (sì, quelle radical chic!) per il fatto che il primo atto del suo “Uomo dei Sogni” è stato di siglare un patto segreto con il Pregiudicato, condannato per frode fiscale, per fare la riforma della Costituzione? Il quale forse non sogna, come nota ingenuamente Serra,“il ritorno delle donne ai fornelli” ma, per fugare preventivamente qualsiasi dubbio in proposito, fino a poco tempo fa organizzava vivaci festini notturni coordinando schiere di ragazze in abiti succinti mentre si industriavano quali procaci infermiere tuttofare… Eppure quest’uomo, solo qualche giorno prima del 25 maggio, ha messo in fila i voti necessari per non far cadere il governo Renzi!
Ma si sa: bisogna avere la vista acuta di Serra per rendersi conto che la pagliuzza nell’occhio di Grillo è molto, ma molto più gigantesca della trave nel proprio occhio.

domenica 30 marzo 2014

Rivelazione shock di Scalfari: per paura di Grillo, i media censurano Papa Francesco

"Gesù che bastona è stato riportato d’attualità alle sette del mattino del giorno in cui Obama è arrivato a Roma per la sua breve ma intensa visita in Vaticano, al Quirinale e a Villa Madama con Renzi. Alle sette del mattino Papa Francesco aveva convocato a messa in San Pietro 500 membri del Parlamento e tutti i ministri del governo e li ha bistrattati di santa ragione. Non li ha abbracciati, non li ha perdonati, non li ha salutati. Li ha soltanto bastonati.

Il circuito mediatico giornalistico e televisivo, con l’eccezione di pochissimi giornali e di Enrico Mentana, ha sottovalutato quella messa molto particolare di Papa Francesco. Il motivo credo sia quello che le parole del Papa potevano esser ritenute simili agli slogan di Grillo, ma non è così. Grillo straparla contro la casta ma ne fa sostanzialmente parte specie quando si impegna ad abolire la libertà di mandato dei parlamentari per meglio tenerli in pugno impedendo proprio a loro la libertà d’opinione. Il Papa invece parlava ai politici italiani di una battaglia che Lui a sua volta sta combattendo in Vaticano contro tutte le forme di temporalismo."
(Eugenio Scalfari, editoriale odierno su la Repubblica).

Dal fondatore di Repubblica oggi apprendiamo una cosa tanto spudorata quanto evidente, voce dal sen fuggita: il circuito mediatico giornalistico e televisivo seleziona e fa filtrare le sole notizie funzionali alle proprie strategie di comunicazione; fa insomma attività di gatekeeping
Purtroppo niente di nuovo (siamo abituati al peggio) se non fosse che in questo caso riescono persino a mettere la sordina alle parole del Papa (e che Papa!): Papa Francesco. Ciò per timore che le sue parole possano essere accomunate in qualche modo a quelle di Beppe Grillo e che qualche pecorella possa sfuggire dal recinto dove la Casta tiene rinchiuso il popolo sovrano. 
Se volevamo una riprova del livello di degrado a cui è giunto lo stato dell'informazione in Italia, questa ci è stata servita su un vassoio d'argento inopinatamente proprio dal decano dei giornalisti italiani. Che poi si arrampica sugli specchi pur di gettare la sua quotidiana palata di fango contro Beppe Grillo che, da anni grazie al suo blog ed adesso attraverso il movimento politico di cui è leader, ha svelato anche ai più disattenti e smemorati il meccanismo totalitario su cui si fonda il circuito mediatico. 
Sì, perché accusarlo di far parte della Casta è un ossimoro. E poi, fino ad oggi non era per antonomasia il tribuno dell'antipolitica, il populista?
Questa virata di 180 gradi di Scalfari nell'invettiva contro Grillo dimostra chiaramente il disorientamento e la preoccupazione, l'affanno estremo,  con cui il tandem editoriale De Benedetti - Berlusconi e schiere di giornalisti embedded stanno seguendo e organizzando questa lunga campagna elettorale per le Europee temendo un risultato che potrebbe punire severamente proprio i due blocchi sociali di riferimento, Pd e Fi, insieme alla tappezzeria delle rispettive liste civetta, cuoè Scelta civica, Popolari per l'Italia, Sel, Ncd, Lega e chi più ne ha più ne metta.
L'articolo 67 a cui si richiama Scalfari, che prevede l'assenza di vincolo di mandato, è una norma del tutto anacronistica che ha consentito ai politicanti di lungo corso proprio di violare impunemente la Costituzione e il suo impianto democratico, infischiandosene del risultato elettorale. 
Perché, a prescindere dall'esito elettorale, prima di scendere in campo con la squadra di governo, basta fare campagna acquisti nelle fila avversarie per poter vincere a tavolino il campionato: dieci - cento Scilipoti e si getta alle ortiche qualsiasi risultato delle urne, in barba alla sovranità popolare. 
Altro non è che il famoso scouting di Bersani, riveduto e corretto alla luce dell'esperienza processuale del Pregiudicato (vedi caso De Gregorio). 
Ti mancano i numeri in Parlamento per dare la fiducia ad un tuo esecutivo? Semplice: porti dalla tua parte il parlamentare di campo avverso con le buone (guarnendo la pubblica solidarietà umana e la corrispondenza di politici intenti con la promessa, privata, di una serie di benefici per sè e la sua famiglia) o con le cattive (l'ascia del ricatto non è mai sotterrata!). 
Così dando luogo ad una maggioranza nuova di zecca, talmente nuova da non essere mai stata sottoposta in precedenza al giudizio degli elettori! 
Quello che Scalfari fa finta di non sapere è che se un elettore ha votato una lista (e non un candidato!, trattandosi di liste bloccate che rimarranno tali anche col Porcellum a quadrato griffato dalla premiata ditta Renzi&Verdini) sulla base di un programma politico prestabilito, pretende come minimo che l'eletto agisca nel rispetto di questo e che da tale gentlemen's agreement non possa allontanarsi a meno di non rinunciare, per legittimi motivi ideologici sopravvenuti, alla propria carica. 
Capiamoci! Il parlamentare può benissimo esprimere liberamente le proprie opinioni personali ma è giusto che, se queste disattendono gli obiettivi che lui stesso pubblicamente, con la propria firma autografa, si è impegnato  a perseguire insieme ai suoi colleghi all'atto della candidatura, getti la spugna, lasciando a qualcun altro (magari il primo dei non eletti) tale onere e onore.  
Anche se con un minimo di discernimento colui che è stato folgorato sulla via di Roma si dovrebbe pure domandare come mai il circuito mediatico semplicemente lo abbia ignorato per 364 giorni di seguito fino a quando, d'improvviso, lo strappa dall'oblìo e gli concede le accecanti e roboanti luci della ribalta. Guarda un po',  non appena spara ad alzo zero sul suo gruppo politico di appartenenza o dichiara di voler agire in fattuale violazione  del patto a suo tempo sottoscritto con gli elettori, di cui lui non è l'artefice ma si è comunque proposto di diventare uno degli esecutori, uscendo così dal rispettabilissimo buio del proprio anonimato.
Va da sè che all'interno del suo gruppo egli possa esprimere qualsiasi opinione e magari votare pure contro la linea politica maggioritaria che in esso si venga a formare ma, a decisione presa, è suo dovere comportarsi secondo le indicazioni collettive. 
Così come è evidente che, qualora le sue valutazioni personali fatte in pompa magna nell'agorà mediatica siano di chiara delegittimazione o aperta denigrazione dell'operato della forza politica e del vertice con cui ha sottoscritto volontariamente e alla luce del sole il predetto patto di fronte agli elettori, in quanto  rappresentante e  testimone di valori e obiettivi che la stessa si è impegnata a portare avanti in Parlamento, debba soggiacere ai voleri di quei cittadini che là lo avevano catapultato.
Che c'è di strano in simili considerazioni? 
E' la scoperta dell'acqua calda che, ciononostante, i colossi dell'informazione intendono occultare. 
Un esempio per tutti: forse che il "dissidente" Giuseppe Civati non sarebbe stato espulso dal PD se avesse votato contro la fiducia al governo Renzi e, dieci mesi prima, al governo Letta? Lui stesso dichiarò: se votassi contro, verrei cacciato. 
Come mai in quel caso nessuno osò eccepirgli nulla  nè si stracciò le vesti di fronte ad una dichiarazione, che secondo i pennuti di corte, sarebbe dovuta suonare eversiva proprio in base all'articolo 67? 
Il fatto è che i rappresentanti del popolo, nonostante la finta riforma elettorale del premier Renzi, vengono ancora nominati dalle segreterie di partito attraverso liste bloccate, su cui si sono concentrati gli strali della Corte Costituzionale che bocciò per questo motivo nel gennaio scorso il Porcellum.
Quindi, quando si attacca Grillo sull'articolo 67, si fa finta di dimenticare che esso è sistematicamente violato da sempre, in primis dal fatto che il parlamentare non viene eletto in quanto cittadino che aspira individualmente ad un incarico legislativo ma come membro di un partito alla cui disciplina è evidentemente tenuto. In secondo ordine, con il meccanismo delle liste bloccate dichiarato recentemente incostituzionale, egli viene nominato de facto dai segretari di partito, non certo scelto dai cittadini che possono apporre solo un segno sul simbolo della lista!
Di che cosa stiamo parlando allora? 
I soliti farisei: fanno finta di tenere l'articolo 67 in piedi per ammantarsi di un malinteso velo di democraticità, per poi irriderlo e violarlo sistematicamente ed in modo plateale.


giovedì 20 febbraio 2014

Cadere giù dall'amaca

L'ipocrisia algida e snob di Michele Serra raggiunge oggi il suo massimo e forse irripetibile vertice.
Non potendo spendere una sola parola a favore dell'indifendibile Renzi, che in queste ore sta tessendo la propria tela con il Pregiudicato, rispolvera i panni di Donna Letizia, con una anacronistica lezione di buone maniere: per la verità, evidentemente colpito da un improvviso rigurgito stalinista, lui la definisce "igiene psicologica".
Così non può che scaricare tutto il suo disappunto per la scialba prova del sindaco di Firenze su Beppe Grillo che ieri ne ha paralizzato la parlantina, semplicemente rinfacciandogli le ripetute incoerenze.
Naturalmente esala come sempre dall'amaca di Serra l'inconfondibile puzza sotto al naso, connotato storico degli iscritti all'esclusivo club della sinistra talmente chic da doversi dissimulare quotidianamente sotto abiti radical.
Griffati, va da sé!

domenica 2 febbraio 2014

Il governo in Bol...Letta e gli intellettuali complici

Quanto successo durante la settimana in Parlamento ha finalmente chiarito agli ultimi dubbiosi la natura autoritaria ed antidemocratica di questo governo e di una maggioranza impresentabile, che si appresta spudoratamente a riformare la Costituzione. 

In primis, il ruolo di Matteo Renzi, personaggio che sembra tirato fuori da un cinepanettone, per fargli fare al massimo la spalla di Ceccherini o Pieraccioni, capace solo di ripetere vuoti slogan e di approfittare del totale sbandamento del Pd, ormai in una irreversibile crisi di valori, per salvare dall'oblio e risospingere al centro della scena politica il famigerato frodatore fiscale Silvio Berlusconi. A cui la nomenklatura excomunista, il cui unico titolo di merito è proprio quello di averlo risuscitato più volte, non trova di meglio oggi, per strapparlo ai servizi sociali, che battezzarlo all'improvviso padre costituente.
Mentre il premier Letta, in conferenza stampa, arriva a minacciare il movimento di Beppe Grillo parlando di "eccessiva tolleranza" nei confronti delle proteste in aula dei 5stelle.
Dichiarazioni che suonano gravissime, provenendo da un'autorità che ha la guida dell'esecutivo e da cui dipendono il Ministero dell'Interno e i servizi segreti. Parole che andrebbero chiarite e rettificate al più presto.
In questo scenario tragico e triste, la presidente della Camera Laura Boldrini, venendo meno al suo ruolo di garante dell'assemblea legislativa, ha fatto da sponda al governo Letta, il governo degli amici degli amici e dei nipoti degli zii, degli incompetenti, degli smemorati, degli irresponsabili. 
Perché è solo da irresponsabili riscrivere infinite volte, tanto da non farci più raccapezzare nessuno, la tassazione sulla casa: da Imu, ex Ici, a TRISE, dopo IUC, divisa in TARI (già TARES) e TASI. 
Giochetti enigmistici per spillare ancora quattrini agli Italiani mentre si spendono decine di miliardi per gli F35, che lo stesso Pentagono ora ritiene pericolosi e inaffidabili; o ancora, per regalare 7,5 miliardi di euro alle banche, o abbuonare alle società concessionarie delle slot machine 98 miliardi di euro, ridotti sì e no a due-trecento milioni.
Una classe dirigente che non solo non chiede scusa per l'immane disastro economico dell'euro in cui ci ha colpevolmente precipitato, senza neppure immaginare e definire una exit strategy,  ma arriva a minacciare l'opposizione nell'esercizio delle sue funzioni e dei suoi diritti (tra cui, ovviamente, l'ostruzionismo), dopo aver sparso veleno e diffamazione contro il M5S a reti unificate in tutte le fasce orarie, in virtù dell'accordo sottobanco tra Pd e Pdl santificato con la rielezione del Presidente della Repubblica,  da tempo fuori da ogni logica e procedura costituzionale.
Un esecutivo in BolLetta che guidato dall'incapace nipote del più fedele luogotenente berlusconiano, deve ringraziare per la sua sopravvivenza  la Presidente della Camera Laura Boldrini, una rara combinazione di incompetenza, inesperienza, ottusità, mediocrità intellettuale, arroganza, ipocrisia, che arriva a difendere l'arbitrio commesso, per la prima volta in 70 anni di storia repubblicana, di tagliare gli interventi delle opposizioni per far passare di prepotenza il decreto legge porcata che regala 7,5 miliardi di euro alle banche, prendendo ripetutamente in giro gli Italiani,  e dichiarando l'indomani di non esserne pentita!
Vergognosi, infine, i cosiddetti intellettuali embedded, al seguito delle corazzate editoriali che diffamano i bravissimi ragazzi del M5S equiparandoli ai fascisti, facendo non solo strame della verità e della drammatica storia italiana ma, quel che è più indecente, mercimonio dell'intelligenza.
Non parliamo del giornalista Francesco Merlo che giustifica l'aggressione del parlamentare di Sc alla deputata del M5s Loredana Lupo con ignobili parole (le riportiamo integralmente perché ne sanciscono l'autogogna mediatica):  
"E CHI ERA quella "brava ragazza" che agitava contemporaneamente braccia e gambe (si può, le grilline possono), e dovunque c'era un groviglio vi si immergeva a tuffo e vi nuotava in apnea? Si chiama Loredana Lupo ed è la lupa che ieri sera guidava l'assalto delle squadracce grilline a Montecitorio gridando "dittatura, dittatura!" e "ora lo scontro si sposta nelle piazze". Colpisce che a fermare la forsennata sia stato uno schiaffo di Stefano Dambruoso, deputato montiano, questore della Camera, ex magistrato, violento per contagio, anch'egli scomposto e ora pavido nel difendersi: "Escludo lo schiaffo, ma non nego un contatto fisico". Insomma dice che la mano gli è partita come se non fosse sua. Imbavagliata come in Val di Susa, la lupa voleva infatti sbranare la presidente Boldrini, che aveva sconfitto l'ostruzionismo grillino con le regole, con l'orologio della democrazia, con la velocità del diritto."
Se questo è un giornalista... che per giunta si fa gioco, nel modo più volgare e sessista, persino del cognome della vittima. Non basta chiamarsi Merlo per essere scusato di aver scritto le frasi citate ma bisogna sicuramente essere un merlo per poterle condividere. 

Ma naturalmente non c'è nessuno che chieda conto a Merlo delle infami espressioni lanciate sulle colonne di Repubblica nè che solidarizzi con la deputata del M5S: men che meno la Boldrini!
Lasciamo stare Corrado Augias, il famoso pseudointellettuale della presunta sinistra british (già sbugiardato quando sognava pochi anni fa un maxiparcheggio sotto il Pincio appoggiando da bravo pasdaran piddino lo sconsiderato progetto devastatore e mangiaeuro di Veltroni), che vuole dare lezione di bon ton ai pentastellati. Fa finta di scandalizzarsi per l'infelice battuta sessista di un deputato del Movimento a cui le onorevoli del Pd avevano in precedenza ripetutamente dato del fascista, ma non ha nulla da obiettare contro l'aggressione fisica di cui è stato autore Dambruoso.  Infine, ritiene normale che, in un Paese con tre forze politiche di dimensioni analoghe, due politici extraparlamentari ben conosciuti alla giustizia italiana come Renzi e Berlusconi, possano inventarsi un nuovo sistema elettorale per fare fuori il M5S. 
Anzi, da autentico democratico qual è, confida in questa prospettiva, ammettendo: "Dopo l'ubriacatura del 25% arriverebbe la soglia fisiologica che un movimento del genere può raggiungere, la frangia marginale di scontenti che c'è sempre in ogni società"
Lascia intendere che, anche in tempi così difficili per il volgo, lui si sente estremamente soddisfatto... Probabilmente un libro sui "misteri di Augias" sarebbe più utile dei suoi polpettoni pseudostorici pubblicati (indovinate un po') da Mondadori, alias Berlusconi, che intasano le librerie togliendo spazio espositivo a opere realmente valide e meno pubblicizzate. 

Stamattina prende di mira, naturalmente con estrema nonchalance, il bravissimo deputato del M5S Alessandro Di Battista ma non si accorge, sicuramente per uno scherzo dell'età, di stare abbozzando il suo autoritratto, cadendo in una ridicola contraddizione:  
"È un uomo d'aspetto gradevole, molto consapevole, molto compiaciuto, parla con calma, lanciando, soavemente, insulti terribili: quello è un falsone, quello è un condannato, quello è un pollo da batteria e via di questo passo. La sua calma mi è sembrata spaventosa; traspare la sicurezza di chi ritiene di possedere la verità. Dal punto di vista psicologico gli si addice l'immagine del "lupo di rango superiore" descritta da Artico. Ridurre i problemi a slogan orecchiabili per meglio padroneggiarli e che nessun dubbio incrini le certezze, dividere il mondo in due con un taglio senza sfumature."   
E finisce, come conierebbe da par suo, in un cul de sac:  
"Questi grillini, che rifiutano il bipolarismo elettorale perché non gli conviene, politicamente hanno adottato la visione rigidamente dualista dei manichei: la Luce e le Tenebre."

Ma il vertice del vizio intellettuale lo raggiunge il matematico Piergiorgio Odifreddi che in un suo post su Repubblica.it afferma categorico: è "Fascismo a 5 stelle", argomentando con slogan vuoti e demenziali. Si può andare tranquillamente a un Bar Sport con la garanzia di una maggiore profondità di pensiero tra gli avventori!  

Possibile che un docente universitario utilizzi così  irresponsabilmente parole come fascismo e squadrismo in un delirio futurista di espressioni, attribuzioni, eventi, ricostruzioni capziose di fatti e comportamenti? Purtroppo è possibile: evidentemente una preziosa vetrina come quella offerta a Odifreddi da Repubblica val bene la volenterosa complicità nella sfrenata disinformazione in cui il gruppo Espresso è impegnato ai danni del M5S. 
Dopo aver letto l'ultimo post di questo retore camuffato da intellettuale viene veramente voglia di fare piazza pulita per sempre di ogni sua escrezione verbale, bonificando persino la pattumiera della carta. 
Scenario fosco quello che si sta delinenando: un governo in BolLetta, che minaccia la svolta autoritaria, incapace di venire a capo della crisi economica e finanziaria,  privo di qualsiasi credibilità morale e professionale, che resta in sella sotto tutela di un presidente della Repubblica di quasi novant'anni, lui stesso sotto impeachment, grazie ad una stampa serva dei grandi potentati economici e della tecnocrazia europea; ed una classe intellettuale che, con poche eccezioni, per difendere strenuamente privilegi e  rendita di posizione, non esita un attimo a lanciare bordate reazionarie contro i cittadini che protestano esasperati dentro e fuori il Parlamento. 
Poi ci si meraviglia  che nel 1931 solo una decina di professori universitari si rifiutarono di prestare il giuramento di fedeltà al fascismo...

PS: a detta di Repubblica, pare che un simpatizzante del M5S abbia dato fuoco alla sua copia del libro di Augias, postando la foto su Facebook. Ha fatto male,  prendiamo le distanze da un gesto così scriteriato, che produce solo inquinamento. Infatti la carta può essere più facilmente ed utilmente riciclata, utilizzando l'apposita campana di color giallo.

domenica 3 novembre 2013

Cinque domande ad Eugenio Scalfari

"[...] Si tratta di una campagna di destra, una destra xenofoba contro gli immigrati, qualunquista contro i partiti (tutti i partiti, nessuno escluso) e contro le istituzioni, dal capo dello Stato al presidente del Consiglio ai ministri (tutti i ministri) e contro la magistratura e la Corte costituzionale.
[...] Da qualche settimana l’Europa così come è fatta oggi e l’euro che la Banca europea stampa sono diventati i nemici principali e rappresentano i bersagli sui quali sparare per primi. La stessa strategia è quella usata dal Fronte nazionale francese della Le Pen, dal movimento anti-europeo di Germania (dove però non hanno neppure superato la soglia per entrare in Parlamento), in Grecia, in Danimarca, in Olanda.
Grillo ha anche in mente una sua politica economica. Non è mai andato a scuola di economia e conosce per sentito dire le scuole di Cambridge, di Vienna e del Mit degli Usa; ma sa interpretare e semplificare quello che molta gente pensa: ridurre le tasse, combattere evasione e corruzione, infischiarsene del debito pubblico, spendere per creare posti di lavoro senza preoccuparsi delle coperture, rispondere a pernacchie alle direttive europee e mandare per aria l’euro. Chi se ne frega dell’euro. Meglio una moneta nazionale stampata in Italia in quantità capaci a fare star meglio la gente, i giovani, gli anziani, tutti.
[...]Questo pensa Grillo, lo dice e lo diffonde. Ormai è un Verbo, naturalmente incarnato. Ma non è il solo poiché anche a destra c’è qualcuno che — in modi appena più sfumati nella forma ma identici nella sostanza — dice cose analoghe. Finora erano due populismi di segno contrario, adesso sono due nazionalismi entrambi di estrema destra, entrambi demagogici, entrambi irresponsabili ed entrambi visti con favore da alcuni milioni di elettori." (Eugenio Scalfari, editoriale di oggi su Repubblica)


Sono le intemperanze di un vecchio di novant'anni, un grande borghese, un conservatore  che è campato di rendita prendendo a prestito idee di sinistra  con lo sguardo rivolto a destra? 
Probabilmente sono le parole di un grande narciso, ambiziosissimo e spregiudicato, abituato ad una vita di privilegi che teme all'improvviso di restare fuori, a furor di popolo, dalla stanza dei bottoni, dai salotti che contano, dalle entrature eccellenti, dal colloquio riservato e costante con il capo dello stato, Giorgio Napolitano, di cui riesce persino, gliene diamo atto, a presagire i comportamenti. 
Il suo laicismo liberale è una sorta di specchietto per le allodole che lui agita da sempre con scaltrezza per vedersi aperte al suo passaggio tutte le porte, frequentando con intensità i salotti buoni, schivandone all'occorrenza gli schizzi di fango, ammiccando al terzo stato nell'attimo stesso in cui ne ignora, peggio, ne rinnega le istanze di cambiamento.
Contro Grillo la furia scalfariana è scomposta e viscerale, priva di lucidità. 
Lo accusa di tutto affibbiandogli in modo del tutto velleitario l'etichetta di estrema destra populista, senza prendersi la briga di motivarlo. 
L'unica accusa che riesce a formulargli con un minimo di senzo logico è la posizione critica del leader del M5S contro l'euro, ma si guarda bene dall'approfondire la questione, magari spiegando al malcapitato lettore perché difendere l'euro è ideologicamente di sinistra mentre criticarne gli attuali nefasti meccanismi sull'economia italiana e sulla vita di milioni di persone sarebbe, ipso facto, di estrema destra.
Eppure ormai il vicolo cieco in cui ci hanno ficcato vent'anni fa, beninteso da sinistra (il trio Amato, Prodi, Ciampi), costringendo l'Italia nella prigione dell'euro senza negoziarne minime condizioni di agibilità, è sotto gli occhi di tutti: con la distruzione del suo tessuto industriale, si sta affamando, letteralmente, la popolazione, provocando un declino economico che non ha precedenti nella storia moderna. In nome di un malinteso internazionalismo che punta esplicitamente alla spirale deflattiva e recessiva attraverso la cessione della sovranità monetaria e fiscale alle burocrazie europee, per costringere gli Italiani  a quelle riforme che soli, secondo Scalfari, non sarebbero in grado di compiere. 
Tutto ciò tanfeggia tanto di paternalismo populista, questo sì di destra reazionaria.
Rivendicare invece la propria dignità di popolo che si autodetermina, che decide il proprio destino senza necessità di ricevere la pagella né il tutoraggio della Troika, che ha una propria moneta, sì proprio  da coniare in quantità per far star meglio la gente, come irride il voltagabbana Scalfari, sarebbe, chissà perché, di destra, peggio di quella estrema nazionalista e xenofoba! 
Alla prossima puntata il riferimento magari a Hitler; quanto a Mussolini il fondatore di Repubblica, nella sua nota collezione di panzane, non se l'è lasciato sfuggire: e non ora, ben 5 anni fa.

Ma Scalfari, prima di bollare gli altri con i peggiori epiteti, farebbe ben a rispondere a queste semplici cinque domande:

1) E' vero che il debito pubblico nella stagione di Monti ed in quella  in corso delle larghe intese, nonostante gli enormi sacrifici fatti fare agli Italiani, non solo non è diminuito ma è sensibilmente aumentato?
2) E' vero che mai la disoccupazione in Italia, a partire dal 1977 (unico riferimento statisticamente valido), è stata così elevata? Ed in particolare quella giovanile?
3) E' vero che a partire dal marzo 2010, l'Italia ha versato ai vari fondi europei (ESM e EFSF) più di 51 miliardi di euro, addirittura aggravando sensibilmente il proprio debito pubblico?
4) E' vero che i soldi versati all'ESM (Meccanismo Europeo di Stabilità) nel solo 2013 sono stati pari a 11,4 miliardi (altri 14,3 nel 2014) e che il fondo li investe in titoli con rating almeno doppia A, dunque non in titoli italiani ma sicuramente anche in bund tedeschi, aggravando, se si può, il problema dello spread con i nostri BTP?
5)  E' vero che ormai sono moltissimi gli economisti, da Alberto Bagnai a Claudio Borghi Aquilini, a Paolo Savona, tanto per citarne alcuni tra i più autorevoli, che senza essere degli estremisti-nazionalisti-xenofobi ritengono che, al punto in cui siamo, si debba procedere ad uscire dall'euro il prima possibile?

Finché Scalfari non avrà risposto in modo secco (basta un Vero-Falso) al piccolo questionario che gli proponiamo, le sue valutazioni su Grillo saranno considerate, come d'altro canto lui farebbe al posto nostro senza esitazione, come intemperanze di un vegliardo livoroso che non si rassegna al proprio inesorabile declino.